domenica 18 settembre 2011

Bossi agita i suoi: «Ora la Padania Il voto nel 2013 è troppo lontano»

«Basta intercettare la gente». È lapidario Umberto Bossi, poche parole per i pochi minuti concessi al popolo padano accorso alle sorgenti del Po. Non è in grandissima forma, il Senatùr: «Sono acciaccato ma spero che il Po mi porti bene». Non parla a lungo e non fa giri di parole. Basta intercettazioni: il messaggio è chiaro, diretto sia alla sua gente sia al presidente del Consiglio. L’asse con Silvio Berlusconi non è in discussione. Ma è un Bossi problematico, quello salito ai 2.000 metri di Pian del Re a riempire la «sacra ampolla» che domani vuoterà in laguna. Le intercettazioni vanno fermate, ma come giudica quelle già uscite? Il Senatùr non ne parla né ai piedi del Monviso né a Paesana, nel fondovalle. Non lo ritiene argomento da comizio. Ma da Tg. Ed è ai microfoni che affida le sue valutazioni sul tema: «Le intercettazioni ci sono... - mormora sornione - a lui piacciono le donne». I giornalisti gli chiedono come giudica il fatto che Berlusconi non voglia presentarsi davanti ai pubblici ministeri. «Beato lui, risparmierà tempo, se ci riesce». Non è l’unica presa di distanza dall’alleato. Bossi dà un giudizio incerto anche sulle prospettive del governo. «Durerà fino al 2013? Mi sembra troppo lontano. Per adesso va avanti, poi vediamo». Frasi secche, senza troppe spiegazioni, e che lasciano aperte tante valutazioni. È il contesto internazionale a preoccupare il Senatùr: «L’Italia va giù, ma noi non precipitiamo». Quel «noi» significa: noi della Padania. «Abbiamo la Padania, il Nord non muore». Al Pian del Re riecheggia l’urlo «secessione-secessione». Bossi non si unisce al coro, si limita al consueto «Padania libera». Ricorda però un proverbio: ogni cosa a suo tempo. «Bisogna fare un passo alla volta e lasciare che le cose maturino». Uno slalom tra i paletti dell’ambiguità che si ripete più tardi a Paesana. A un certo punto, durante il comizio, Bossi si ferma e punta il dito alla sua destra indicando un cartello che ondeggia sulle teste. «Quella è la soluzione», esclama. In realtà i cartelli sono due: uno porta la scritta «Via i prefetti», per abolire i quali la Lega ha lanciato una raccolta di firme («föra di ball» è l’elegante invito); l’altro invece inneggia a «Indipendenza subito». Indipendenza o cancellazione delle prefetture: qual è la soluzione giusta? C’è un altro fronte caldo tra Bossi e Berlusconi, quello familiare aperto da un articolo da Panorama. Calderoli si dice contento che il premier abbia preso le distanze dal giornale pubblicato dalla casa editrice del premier. Bossi considera quel reportage sui tormenti della base leghista «un danneggiamento alla mia famiglia. Mia moglie è una brava, non mi lascia uscire di casa». E gli affetti familiari tornano quando il Senatùr accenna alla sua successione. Qualche anno fa, proprio sotto il Monviso, disse che suo figlio Renzo «non è un delfino, al massimo una trota». Ieri invece l’ha citato più volte nei due comizi. Se non ci fosse stato Renzo a calmare gli animi al Giro ciclistico della Padania... Lui che è più tranquillo... E se non ci fosse lui a preparare qualche proposta di legge per offrire opportunità ai giovani... Parole interpretate come una mezza investitura. Anche perché Maroni non è stato neppure citato, mentre Calderoli rimane «il mio braccio destro a Roma». Nulla di più. Sulla manovra approvata, Bossi insiste sue due punti: aver introdotto i contratti territoriali, vecchio cavallo di battaglia, e aver limitato i danni alle pensioni. Dice: «Anche Brunetta, il nano di Venezia (ma non bisogna chiamarlo cosi perché se no si offende), un giorno mi ha detto che lo aveva chiamato Bankitalia sulle pensioni e io gli ho detto “Non ti chiamano perché sei il più in gamba ma perché non capisci un cazzo e ti lasci convincere”». Sui prati del Monviso una pattuglia di sindaci piemontesi contesta i tagli agli enti locali inalberando striscioni e cartelli. Uno è particolarmente velenoso: «Noi stiamo con Tosi». Quando dall’ultimo tornante spunta l’Audi blu con a bordo il Senatùr, intonano l’inno di Mameli. Bossi abbassa il finestrino e fa le corna, due volte. E quando scende ripete: «Cornuti». Il giudizio politico è affidato al governatore piemontese Roberto Cota: «Sono sindaci del Pd in cerca di notorietà dall’unico palcoscenico che può offrirgliela». ilgiornale

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