lunedì 25 luglio 2011

Stop all'AIDS?

Can we end the epidemics? Fino a qualche tempo fa questa domanda non avrebbe avuto senso, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate a tal punto che una sessione della Conferenza dell'International Aids Society (Ias) che si è chiusa il 20 luglio scorso a Roma si intitolava proprio così: possiamo porre fine all'epidemia? “Cinque presidenti americani mi hanno interpellato nel corso degli anni – ha detto Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases americano e uno dei primi ricercatori ad occuparsi di Hiv - e tutti mi hanno posto questa questione. Oggi per la prima volta potrei rispondere: abbiamo molti strumenti a disposizione per pensare di rendere reale questa prospettiva. La scienza, quindi, dice: si può fare, ora bisogna vedere se c'è la volontà politica per farlo davvero”.


Bastano queste parole per capire perché il clima che si è vissuto in questi quattro giorni all'auditorium di Roma sia stato eccitante. Tra i seimila partecipanti alla Conferenza provenienti da tutto il mondo si sentiva mormorare: sembra di essere tornati a respirare l'aria della Conferenza di Vancouver. Per gli addetti ai lavori Vancouver vuol dire la rivoluzione. Lì, nel 1996, vennero presentati i risultati sull'efficacia delle terapie antiretrovirali: l'Aids si trasformò da una malattia che uccideva senza scampo in una condizione cronica, una infezione che non si può guarire, ma con la quale si può convivere per molti anni. Oggi le terapie antiretrovirali vengono prese da 6 milioni e mezzo di persone nel mondo.
Oltre alla terapia, c'è la prevenzione: evitare che l'Hiv, il virus che causa la malattia, venga trasmesso da una persona all'altra. Negli anni Ottanta e Novanta la prevenzione è stata basata prevalentemente su interventi di informazione e di modifica dei comportamenti rivolti a persone a rischio di contrarre l'infezione da Hiv. Purtroppo i risultati non sono stati omogenei: mentre in alcuni paesi si sono ottenuti progresssi importanti, in altri l'epidemia ha continuato a galoppare. In conclusione, l'epidemia non si è fermata: nel 2008 si infettavano ogni anno nel mondo 2,7 milioni di persone. Troppe. Più di quelle che venivano messe in cura. Quegli interventi da soli, dunque non bastano. Ci sarebbe poi la soluzione ottimale: avere a disposizione un vaccino efficace, ma, benché ci si lavori da tempo, sembra che si dovrà aspettare ancora 10 o addirittura 20 anni per avere qualche risultato significativo. Nel frattempo si tentano nuove strategie: innanzitutto quello che si chiama “trattamento come prevenzione”. Uno studio presentato al convegno condotto su coppie eterosessuali nelle quali uno dei partner era infetto, ha mostrato che se il sieropositivo prende le terapie antiretrovirali ha il 96 % di probabilità in meno di trasmettere il virus al partner. Un risultato che confermna precedenti osservazioni. La seconda strategia è più complessa: si tratta di utilizzare i farmaci antiretrovirali sulle persone sane per evitare che si contagino. Si chiama profilassi pre-esposizione (PrEP) e due nuovi studi condotti in Africa e presentati in questi fgiorni dimostrerebbero la sua validità.
Le terapie usate per la prevenzione sono state, quindi, la vera novità di questa conferenza. Questo non vuol dire abbandonare le vecchie armi, ma affidarsi a quello che chiamano “toolbox”, la cassetta degli attrezzi. Ovvero la combinazione di diversi strumenti - dal preservativo alla circoncisione maschile, dai gel microbicidi ai farmaci, alle campagne di informazione (e qualcuno ha chiesto l'impegno attivo degli esperti di scienze sociali) - che potrebbe portare all'obiettivo di porre fine all'epidemia, anche in assenza di un vaccino. Ma, insistono tutti, ci vuole la volontà politica, ovvero ci vogliono i finanziamenti. Perché se è vero che oltre 6 milioni di persone oggi prendono i farmaci antiretrovirali,è anche vero che 9 milioni sono in attesa di prenderli e ne avrebbero bisogno. E che la pianificazione di una strategia di prevenzione ha bisogno di finanziamenti consistenti. A questo proposito, una lettera del sindaco di Roma Gianni Alemanno è arrivata ieri al presidente Berlusconi sulla questione dei finanziamenti al Fondo Globale per Aids, Malaria e Tubercolosi. Il nostro paese non finanzia il fondo dal 2009 e la cosa ha suscitato forti polemiche nel corso della Conferenza. “Sono cosciente della difficile situazione finanziaria che ha toccato tutto il mondo e l'Italia – scrive Alemanno - e dei sacrifici necessari, ma non posso resttare sordo di fronte ai drammatici appelli che ieri ho ascoltato. Purtroppo milgliaia di bambini, donne e uomini resteranno senza cure e quindi moriranno di Aids, tubercolo e malaria nei prossimi mesi se anche l'Italia non farà la sua parte”.


fonte: unita.it di Cristiana Pulcinelli

2 commenti:

  1. its hard to stop a disease which has no definite cure

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  2. I think the same as you do, but maybe they found a sort of cure.. it could be the greatest science discovery!

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